
Monte dei Paschi di Siena

Una pubblicità del 2009 del Monte dei Paschi di Siena recitava “MPS: una storia italiana”. E in effetti, sette anni dopo, non si può che essere d’accordo. Quella di MPS è una storia tutta italiana che comincia addirittura nel 1472, e fino a pochi anni fa era persino una storia di successo (terzo gruppo italiano dopo Unicredit e Banca Intesa San Paolo). Poi qualcosa si è rotto. Vediamo cosa e soprattutto come si è arrivati al disastro di questi giorni.
Radici profonde
Il Monte dei Paschi è una banca fortemente legata al territorio. Ed è proprio questo il problema principale. Facciamo un passo indietro: all’inizio degli anni ’90, il sistema bancario italiano era molto diverso da come lo conosciamo oggi. C’erano tre grosse banche pubbliche (la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano ed il Banco di Roma) e moltissime piccole casse di risparmio locali che facevano riferimento ai politici del luogo. L’idea, introdotta nel 1936 da Mussolini, era che le banche dovevano avere un ruolo pubblico e quindi dovevano essere gestite dalla politica. All’inizio degli anni ’90 cambia tutto: le banche vengono privatizzate. In sostanza la banca viene divisa in due: la banca vera e propria che raccoglie i risparmi e li investe, e le fondazioni, che controllano le banche e ne usano i dividendi per investire sul territorio (come facevano le vecchie banche). La legge prevedeva che le fondazioni con il tempo avrebbero dovuto cedere il controllo delle banche, e in effetti questo è avvenuto in tutti i casi, tranne in uno: proprio quello di MPS.
Un sistema perverso
La Fondazione del Monte dei Paschi è gestita da sempre dalla politica. È organizzata al suo interno in modo tale da avere un mini-parlamento che nomina un suo governo. Questo parlamento è composto da 16 membri. Otto nominati dal comune di Siena, cinque dalla provincia, uno dalla regione Toscana, uno dall’università di Siena e uno dall’arcidiocesi. Da sempre MPS è stata la cassaforte di Siena e dintorni, distribuendo a pioggia fondi e sponsorizzazioni. La mentalità non è quella, magari fredda e cinica, del finanziere, ma quella spesso compiacente del politico locale, con un occhio più al favore personale che al profitto della banca. Università, ospedali, squadre di basket e di calcio (poi tutte fallite): soldi a pioggia per tutti. La Fondazione muoveva da sola il 4% del Pil della provincia. Venivano concessi prestiti e finanziamenti a personaggi “amici” anche quando le possibilità di veder rientrare i soldi erano pressoché pari allo zero. Con il risultato che oggi MPS possiede 27 miliardi di “sofferenze”, ovvero crediti che sarà praticamente impossibile riscuotere.
Negli anni le inchieste giudiziarie su MPS hanno rivelato scelte sconcertanti:
Nel 2007 Monte dei Paschi decide di comprare Banca Antonveneta (BAV). BAV era da anni al centro di scandali finanziari (ricordate Fiorani?) ed era passata in mani straniere. Il Banco di Santander la voleva rilevare per 6,6 miliardi, ma arrivò l’offerta di MPS di oltre 10 miliardi, una cifra spropositata e completamente fuori mercato. Per chiudere l’operazione MPS e la Fondazione si indebitarono oltre le loro possibilità, in un momento non semplice per il sistema bancario (pochi mesi dopo fallirà Lehman Brothers).
Nel 2009, con la banca già in gravissima crisi (lo stesso anno verrà chiesto l’aiuto dello Stato usando i “Tremonti Bond”), i manager si rendono conto che chiuderanno l’anno in perdita. Decidono allora di negoziare una sofisticata operazione finanziaria con la banca giapponese Nomura, che permette a MPS di chiudere in utile. Un utile che MPS avrebbe dovuto restituire negli anni a seguire pagando interessi altissimi. Perché? Perché la Fondazione, ovvero la politica, aveva bisogno dei dividendi da distribuire sul territorio.
Nel 2012 lascia la guida di MPS l’avvocato Giuseppe Mussari, che per sua stessa ammissione capisce ben poco di finanza (infatti verrà immediatamente eletto per acclamazione Presidente dell’Associazione Bancaria Italiana). Cominciano tentativi disperati di risanamento utilizzando finalmente manager esterni, che però di fronte ad una situazione disperata possono fare ben poco. Nel luglio 2016 l’Autorità Bancaria Europea ha pubblicato i risultati degli “stress test”, ovvero una simulazione di cosa succederebbe alle 51 principali banche europee in caso di una nuova crisi economica tra il 2015 ed il 2018. MPS è l’unica che al termine di questo scenario sarebbe tecnicamente fallita.
L’aiuto dello stato
A ottobre MPS prepara un piano di salvataggio: raccogliere 5 miliardi di euro, chiudere 500 filiali sulle 2.000 attuali e tagliare 2.600 dipendenti su 25.000. I mercati però hanno poca voglia di investire nelle banche, e l’operazione fallisce.
A novembre i manager, tentando ancora di salvare la banca, presentano una proposta ai possessori di obbligazioni MPS (cioè 40.000 piccoli risparmiatori che hanno prestato soldi a MPS): scambiare le loro obbligazioni con azioni, trasformandosi quindi da creditori a proprietari. L’obbiettivo era raccogliere 4,3 miliardi. L’offerta però nascondeva una sottile minaccia. Infatti se tutta l’operazione fosse fallita, sarebbe dovuto intervenire lo Stato, azzerando di fatto il valore delle obbligazioni. In sostanza, o accetti rischiando, o perdi tutto. La CONSOB, l’ente che vigila sulla Borsa, ha però bloccato l’operazione considerandola troppo rischiosa. Tra un tentativo e l’altro, MPS non si è neppure avvicinata al traguardo dei 5 miliardi. Così il governo ha preparato un decreto per salvare le banche italiane (anche Veneto Banca, Carige e Popolare di Vicenza non sono messe benissimo), un intervento pari a 20 miliardi di euro per mettere in sicurezza il sistema. Lo Stato diventerà il primo azionista di MPS fino a quando la situazione non sarà risanata. A quel punto metterà in vendita la sua quota. L’Unione Europea prevede che azionisti e obbligazionisti debbano mettere mano al portafoglio (il famoso “bail in”), tuttavia l’impatto per i piccoli risparmiatori dovrebbe essere minimo. Non per chi possiede azioni MPS, il cui valore dovrebbe crollare. Chi possiede obbligazioni subordinate (meno rischiose delle azioni ma più delle obbligazioni ordinarie) dovrebbe vedersele convertite in azioni prima ed in ordinarie poi, con un impatto in teoria minimo.
Gli scenari futuri
L’emergenza dovrebbe essere arginata. Non possiamo però sapere per quanto. Secondo molti analisti, il problema di MPS è strutturale, e potrebbe ripresentarsi presto. L’unica soluzione definitiva sarebbe una sua cessione ad un altro grosso gruppo bancario. Ad oggi MPS è una banca che, per quanto possa sembrare incredibile, tra aiuti di stato e tagli è tornata a produrre utili. Il problema è quella montagna di 27 miliardi di crediti inesigibili. Una montagna che molto difficilmente un eventuale acquirente si sentirebbe di scalare.
(L’immagine di copertina è di proprietà di MPS e la potete trovare qui)