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Posso detrarre l’abbigliamento?

Posso detrarre l’abbigliamento?

Posso detrarre l’abbigliamento?

 

Facciamo un pò di chiarezza.

 

Abbiamo tre tipologie di abbigliamento e ognuna di esse prevede una deducibilità diversa:
  • ABBIGLIAMENTO TECNICO (DIVISA DA LAVORO): la divisa del cuoco, la tuta per il meccanico, l’attrezzatura per la sicurezza, la toga per l’avvocato. Essi sono interamente deducibili.

Per il reddito d’impresa, l’ 109, comma 5, Tuir prevede che

“le spese e gli altri componenti negativi diversi dagli interessi passivi, tranne gli oneri fiscali, contributivi e di utilità sociale, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”.

E infatti, a tal proposito, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che le spese afferenti l’attività professionale sono

“quelle sostenute per lo svolgimento di attività o per l’acquisizione di beni da cui derivano compensi che concorrono alla formazione del reddito professionale. È necessario pertanto che sussista una connessione funzionale, anche indiretta, dei costi sostenuti rispetto alla produzione dei compensi che concorrono a formare il reddito di lavoro autonomo” (risoluzione 8 marzo 2002, n. 79/E).

  • ABBIGLIAMENTO GENERICO: abiti di rappresentanza (tailleur o abiti eleganti) per commercialisti, consulenti, avvocati, notai e agenti di commercio in questo caso le opinioni sono discordanti:

Nel 2016 La sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 6443/40/16 del 22 luglio 2016, riguardante la nota showgirl Belen Rodriguez, sancisce la deducibilità al 50% dal reddito di lavoro autonomo dei costi per l’abbigliamento utilizzato durante le prestazioni professionali. La sentenza in commento ammette la deducibilità al 50% degli abiti acquistati dalla showgirl e utilizzati per le trasmissioni televisive; infatti, secondo quanto risultante dai contratti di ingaggio

Sulla base della sentenza la deduzione forfettaria dei costi per vestiario dovrebbe essere estesa anche a tutti quei professionisti (agenti di commercio, avvocati, commercialisti e altri collaboratori di studi professionali) con un contratto di collaborazione in cui è prevista una particolare “clausola contrattuale” che impone agli stessi di conformarsi ad un determinato dress code.
Per i freelance che operano senza una particolare clausola contrattuale che impone loro di adeguarsi ad un abbigliamento formale la deduzione dei costi (al 50%) degli abiti per gli uomini e dei tailleur per le signore potrebbe comunque ritenersi lecita; tuttavia tale deduzione (specie se di importo rilevante) va attuata con cautela in quanto può essere oggetto di contestazione da parte dell’amministrazione finanziaria e, in sede contenziosa, non ci si potrebbe appellare alla clausola del contratto di collaborazione.

Nel 2023 le maglie dell’agenzia delle entarte si sono strette nell’ultimo anno con la sentenza n: 177/02/23 della corte di Giustizia tributaria  del Veneto che recita: in tema di imposte sui redditi, ai sensi dell’art. 109 del TUIR, per poter dedurre un costo è necessario che lo stesso sia certo e determinato nel suo ammontare, documentato, nonché inerente ossia necessario per l’attività svolta dal professionista. Letteralmente : “sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono all’attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito “porta a ritenere che le spese per l’abbigliamento inteso in senso generico e non specifico per lo svolgimento dell’attività, quale ad esempio una toga per un avvocato e/o una tuta per un artigiano, non rientri in tale disposizione non essendo sufficiente la mera considerazione che anche l’abbigliamento concorra all’immagine del professionista. Il costo, pertanto, non può essere ritenuto inerente»

Pertanto nel merito della deduzione dell’abbigliamento non tecnico occorre molta prudenza.

 

  • ABBIGLIAMENTO DEI DIPENDENTI:

In questi casi, la prassi raccomanda la predisposizione di un apposito regolamento – che dovrà essere accettato e condiviso dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro – teso ad individuare ed a qualificare le caratteristiche: soggettive (quali sono i dipendenti/le categorie di dipendenti ai quali vengono assegnati i capi di abbigliamento); oggettive (quantità e tipologia di capi di abbigliamenti, accessori, etc. concessi ai dipendenti/categorie di cui sopra); temporali (ogni quanto tempo vengono assegnati i capi di abbigliamento e in che contesto lavorativo i dipendenti sono tenuti ad indossarli: nelle riunioni, nelle filiali, nel corso di fiere, stage, etc.). In tale circostanza, secondo quanto precisato da Assonime con la nota n.11/2009, è ragionevole ritenere che il costo sostenuto dal datore per la fornitura degli indumenti, vestiario, accessori, etc. costituisca un costo aziendale afferente la produzione del reddito di impresa, in quanto “strumentale” per lo svolgimento dell’attività in azienda da parte del lavoratore. Dello stesso avviso anche l’Amministrazione finanziaria che, in ambito Irap, ha affermato che sono deducibili le spese sostenute dall’azienda per acquisire beni e servizi da destinare ai dipendenti per lo svolgimento dell’attività lavorativa, nella misura in cui costituiscano oneri funzionali all’attività di impresa e non assumano natura retributiva per il dipendente. Così, “a titolo esemplificativo, rientrano tra i costi deducibili quelli sostenuti per l’acquisto di tute e scarpe da lavoro” (circolare AdE 27/E/2009).

 

Se dopo la lettura di questo articolo avessi ulteriori domande o perplessità, non esitare a contattarci.

 

 

 

 

Circa l'autore

Monica Manfredini

Monica Manfredini , Dottore Commercialista e Revisore dei conti Determinata, sensibile e schietta Pensa che :"Con il se e il ma si rimane immobili, è' meglio smarrire la strada per poi ritrovarla che rimanere al bivio ". Sapere rende liberi, trasmettere la conoscenza è la strada per la vera democrazia

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